Con questo suo nuovo contributo il nostro Pippo Basile non vuole dare vita a un “Dialogo dei massimi sistemi”, però, come sempre, gli piace metterci una pulce nelle orecchie. Già, perché noi amanti dell’alta fedeltà ci macchiamo spesso di “lesa maestà”, visto che abbiamo il pessimo vizio di ascoltare i nostri impianti di ascolto, non la Musica…

Visto che attualmente vanno molto di moda i cosiddetti prequel, mi piacerebbe che consideraste questo articolo una sorta di premessa a ciò che scriverò nel prossimo futuro e che ha ovviamente come oggetto/soggetto la riproduzione audio. Prendetele solo come delle riflessioni e nulla più, già di gente che scrive verità assoluta ce n’è sin troppa.

Il termine audiofilo negli ultimi anni si è arricchito di significati (ma anche di attribuzioni più o meno gratuite) che sino a qualche anno fa sarebbero stati impossibili addirittura da immaginare. Se facciamo un passo indietro, ci possiamo facilmente rendere conto che negli anni Settanta l’Hi-Fi era in gran parte un campo di gioco dove il tutto si riduceva a prendere un disco (oggi detto vinile e all’epoca invece LP) metterlo sul piatto del giradischi, alzare il volume ed ascoltare ciò che era contenuto nella sorgente da una coppia di casse (oggi dette diffusori o sistemi di altoparlanti). Gioco che si riduceva a pochi elementi dove alla fine l’utente finale, all’epoca definito semplicemente ascoltatore, si limitava ad apprezzare o meno il volume d’ascolto (il famoso… «senti come spinge!») ed eventuali difetti quasi sempre legati all’efficienza del sistema o al fatto che il suono risultasse poco o troppo chiaro.

Fine dei giochi? E no.

Negli anni Ottanta nasce una vera e propria letteratura con tanto di allitterazione di una certa terminologia, che in una semantica slegata dall’audio, anzi dalla riproduzione audio, sostanzialmente non significa nulla. Sfido chiunque nei suddetti anni Settanta ad essersi preoccupato della larghezza o della profondità della scena, del fatto che il tutto avvenisse in precipui piani sonori o che fra strumento e strumento si riuscisse a percepirne la distanza reciproca (mitico e strainflazionato nero infrastrumentale!).

In ogni caso, come si suol dire, il dado era tratto e così le icastiche descrizioni di apparecchi vari e loro caratteristiche di funzionamento passarono dalla penna degli scrittori dell’epoca alla bocca degli appassionati di riproduzione audio Hi-Fi. Così, non c’era fiera o meeting in cui non vedevi nugoli di personaggi variamente addobbati che non stessero a discernere su come un sistema fosse in grado di tirar fuori un valido ologramma del programma musicale che andavano di volta in volta ad analizzare, con tanto di chiosa su come il tutto si condisse di acuti setosi e medi suadenti. La figura dell’ascoltatore che al massimo si esprimeva in termini di: «si sente forte», «si sente piano», «mi piace», «non mi piace», era definitivamente morta o relegata a pochi esemplari, sostituita da questo nuovo soggetto universalmente riconosciuto come audiofilo.

Negli anni Ottanta l’audiofilo acquistava tutte le riviste del settore, conosceva tutte le caratteristiche, una per una di ogni singolo prodotto esistente nell’orbe terracqueo e aveva anche una discreta capacità di dissertare anche su oggetti che sostanzialmente non aveva mai ascoltato ma che sentiva come “suoi”in quanto aveva studiato finanche il DNA del suo progettista. Sono stati anni, quelli, in cui per fortuna oltre a un certo folklorismo (ancora oggi vivo) si è sviluppato anche un particolare senso critico verso le macchine da riproduzione musicale che venivano sottoposte letteralmente ai raggi X in tutte le loro caratteristiche. Ciò ha portato, per fortuna, a iniziare a valutare con attenzione le corrette complementarietà da porre in essere, allorché si è cominciato a mettere insieme i vari oggetti che andavano a formare la catena musicale.

Così, tanto per dirne una, si è cominciato a evidenziare come sensibilità ed efficienza non sono esattamente la stessa cosa, ovvero che puoi avere il miglior impianto al mondo, ma se la stanza che lo accoglie, acusticamente parlando, è una ciofeca, suonerà peggio del sistemino da quattro lire posto in un ambiente senza echi, riflessioni, rimbombi e cancellazioni. Facciamo una piccola sosta.

Eggregore/Luoghi comuni.

Come fa un luogo comune a diventare una forma-pensiero (ossia un’eggregora)? Apparentemente la differenza può apparire marginale ma non lo è. …vocina… ma guarda questo che cosa ti tira fuori!!! Se io dico valvole, dove va il pensiero? A un componente elettrico oppure a un “concetto”? La percezione è che si tratti ormai d’un concetto, tant’è che anche solo a livello pubblicitario il voler rimarcare che l’apparecchio X (per esempio) “si avvale del calore del suono valvolare” ne dà una specifica connotazione, e in effetti, anche se magari solo in termini lessicali, se si dice “valvola”, si accende (in tutti i sensi) non solo nell’immaginario, ma proprio nell’accezione percettiva una realtà fatta di sensazioni (suono caldo, toni ambrati, analogico, buon sapore antico etc.).

Più un concetto viene reiterato da un cospicuo gruppo di persone, in questo caso gli audiofili, più un concetto si tramuta in una vera e propria forma pensiero o eggregora che dir si voglia. Se vediamo una scala appoggiata al muro, non ci passiamo sotto perché abbiamo paura che possa scivolare oppure per il fatto che porta sfiga? Mi fermo qui, anche perché non voglio che si pensi che piuttosto che di alta fedeltà si voglia parlare di esoterismo o pseudo filosofia da manualetto omaggio con le patatine fritte.

Fin qui, se ci avete fatto caso, accenno alle valvole a parte, non s’è parlato di specifici apparecchi, e c’è un motivo ben preciso. Gli apparecchi sono il mezzo con cui andiamo a riprodurre la musica, ma questi dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, essere asserviti a ciò che devono andare appunto a riprodurre, che per comodità definirò file/traccia origine, ma anche giungere all’obiettivo finale che è quello di far ascoltare il file/traccia origine di cui sopra all’ascoltatore.

Ma allora, oggi, quand’è che l’ascoltatore da semplice fruitore di musica acquisisce lo status di audiofilo? Se riprendiamo per un attimo quanto scritto sulle eggregore, possiamo tranquillamente, con la massima onestà intellettuale, riconoscere che ognuno di noi è stato parte integrante di quel pensiero collettivo che ha fatto sì che alcuni concetti, formati inizialmente solo come riflessioni o pensieri, si siano poi tramutati in qualcosa di più, veri e propri punti di non ritorno.

God save the Queen… urlavano i Sex Pistols.

Il pensiero si ispessisce al punto che nell’arengo del web, audiofili di lungo, medio e breve corso provano l’irresistibile necessità di dover dire la propria, certo così si rafforza la forma-pensiero, ma anche ci si dà da soli una pacca sulle spalle (della serie «… bravo, lo vedi anche “quello famoso” la pensa come te!».

Ma nel titolo di questo articolo c’è scritto anche “oppure”… Il che dovrebbe suonare (in tutti i sensi): E la musica dove la mettiamo? Quando si parla di riproduzione audio fino a che punto si sta parlando di musica? Quindi, la domanda che ci dovremmo porre sarebbe: fino a che punto le tecniche utilizzate per registrare un brano musicale e quelle successive finalizzate alla realizzazione del prodotto finale (file/traccia origine) sono realmente congrue per restituire Musica e non suoni? E poi, subito dopo, quanto i sistemi audio (impianti) riescono a restituire Musica e non suoni? La necessità di proporre un suono (attenzione suono) pulito, parossisticamente coinvolgente, emozionante, sconvolgente etc. quanto ha soppiantato la voglia di restituire qualcosa che somigli alla musica?

Ma Sapore di sale suonato da una fonovaligia a valvole degli anni Sessanta l’avete mai ascoltato? Si…vabbè, ma vuoi mettere Allan Taylor o l’immarcescibile Diana Krall? Ma non è che il movimento audiofilo alla fine abbia determinato cosa sia congruo ascoltare e con cosa ascoltarlo? E se dietro tutto questo alla fine non ci sia solo ed esclusivamente una mera questione di “sghei”, “palanche”, “picculi”? OK, ora non perdiamoci in questioni della serie: dalla scoperta dell’acqua calda alle nuove frontiere della fisica quantistica.

Rimanete sintonizzati, perché non è finita qui.

Pippo Basile

 

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