Un recentissimo Gold CD della Velut Luna vede il clarinettista Luca Lucchetta, il violoncellista Francesco Martignon e il pianista Gian Luca Sfriso eseguire esemplarmente quattro brani cameristici del grande compositore milanese, in cui la ricchezza armonica si unisce a una melodia ironica, scoppiettante e trascinante, ma dalla quale, a tratti, emergono punte di sopita mestizia e di trattenuta amarezza

Disco del mese di settembre

Il cinema ha rappresentato per quei musicisti che si sono consacrati anche ad esso sia una manna, sia una maledizione. Una manna poiché soventemente le colonne sonore da loro composte ne hanno poi decretato il successo presso il grande pubblico, anche tra coloro che non sono appassionati di musica; una maledizione per il semplice fatto che poi il loro nome e la loro opera è stata quasi esclusivamente abbinata allo schermo cinematografico, mentre quanto da loro scritto non per il cinema ma per il genere musicale colto, è stato messo in diverse occasioni da parte oppure vergognosamente snobbato.

Ne seppe qualcosa, quand’era ancora in vita, Ennio Morricone, il cui nome di compositore è stato associato esclusivamente alle tante e famose colonne sonore scritte per il cinema, ma la cui raffinatissima opera a favore del filone colto contemporaneo è stata conosciuta e rivalutata maggiormente solo negli ultimissimi anni, grazie anche agli sforzi e alla passione da parte di alcune etichette discografiche e a concerti e a festival musicali, facendola così uscire dal ristrettissimo numero di appassionati e di ammiratori che già conosceva l’altro Morricone, ossia quello fondamentalmente vero e autentico e non relegato solo alle colonne sonore.

Un altro caso, ma decisamente all’opposto, potrebbe essere quello rappresentato dal milanese Nino Rota, il cui nome, invariabilmente, fa venire in mente i capolavori cinematografici di Federico Fellini, del quale ha firmato i soundtracks di pellicole come Lo sceicco bianco, I vitelloni, La strada, Il bidone, Le notti di Cabiria, La dolce vita, , Giulietta degli spiriti, Satyricon, Roma, Amarcord, Casanova e Prova d’orchestra, insomma film che hanno fatto la storia del cinema. Ma anche Nino Rota, come Ennio Morricone, è stato un valentissimo compositore di musica colta, spaziando da quella cameristica a quella orchestrale, dall’opera lirica alla musica concertistica, ma con una peculiarità ben precisa, ossia che a differenza del collega romano, la sua produzione musicale extra cinematografica ha avuto una maggiore diffusione e una ricezione presso il pubblico degli appassionati.

Da sinistra, Federico Fellini, la cantante cubana Wanani (Valeria Ferran) e Nino Rota mentre provano il tema principale del film Giulietta degli spiriti nel 1965.

Il motivo di ciò è assai semplice: se le composizioni di Ennio Morricone, al di fuori dell’ambito cinematografico, sono per la maggior parte all’insegna della sperimentazione (non dimentichiamo che il musicista romano è stato tra gli artefici del gruppo di Nuova Consonanza, che ha rappresentato un punto fermo nella musica contemporanea italiana votata alle scelte più ardite e rivoluzionarie), il catalogo di Nino Rota che non contempla le colonne sonore, non è dissimile ad esse, proseguendo nel percorrere un sentiero compositivo votato al rigoroso linguaggio tonale, a melodie altamente espressive, caustiche, ironiche, quelle, quindi, che si possono proprio ritrovare nei suoi celeberrimi soundtracks. Insomma, il grande pubblico reagì in modo totalmente opposto quando ebbe modo di ascoltare le pagine di Morricone in versione “colta” e sperimentale (e di ciò l’artista romano ne soffrì per tutta la sua vita, amareggiato del fatto che venisse ricordato e apprezzato solo per le sue colonne sonore), mentre le composizioni di Rota, anche quelle che non avevano a che fare con il mondo della celluloide, furono ascoltate e accettate con piacere e interesse.

A sinistra, Ennio Morricone e, a fianco, Nino Rota, due dei più grandi compositori di musiche per film, ma anche valenti e raffinati creatori di musica colta

Così, il Gold CD pubblicato dalla Velut Luna e che presenta quattro pagine cameristiche del musicista milanese, esattamente il Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte (composto nel 1973), l’Allegro danzante per clarinetto e pianoforte (1977), la Sonata in re per clarinetto e pianoforte (1945) e Lo spiritismo nella vecchia casa per clarinetto solo (1950), interpretate da Luca Lucchetta al clarinetto, Francesco Martignon al violoncello e Gian Luca Sfriso al pianoforte, non fanno che riconfermare il tipico DNA compositivo di Nino Rota.

Il Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte rappresenta sicuramente una delle sue composizioni da camera più conosciute e riuscite, contrassegnata dalla consueta vivacità melodica e da un inconfondibile stile lirico e che riflette l’abilità di Rota nel combinare elementi della tradizione classica con una sensibilità squisitamente contemporanea. Il primo tempo, Allegro, si distingue per il carattere brillante, in cui il clarinetto e il violoncello, sostenuti dal pianoforte, danno vita a intriganti dialoghi melodici, e mostra un’interessante ricchezza di contrasti dinamici e di temi ottimamente articolati che si sviluppano con grande fluidità. L’Andante che segue, al contrario, è più lirico e contemplativo, con il clarinetto che assume un ruolo preponderante, con il fine di fargli esprimere un ruolo eminentemente cantabile. Ciò permette di elaborare delle linee melodiche eleganti e commoventi (a tratti sembra che assumano vesti di nobiltà brahmsiana), anche grazie all’accompagnamento delicato del pianoforte e del violoncello tale de creare un’atmosfera calda e intima. Il tempo finale è un Allegrissimo, un finale straordinariamente energico e brioso, caratterizzato da ritmi vivaci e da interazioni dinamiche tra gli strumenti. Anche se l’energia manifestata dai tre strumenti sembra echeggiare l’Allegro iniziale, in questo ultimo tempo si nota una maggiore complessità ritmica e tematica, che culmina in una coda virtuosistica e brillante.

I protagonisti di questa eccelsa registrazione. Da sinistra, il clarinettista Luca Lucchetta, il violoncellista Francesco Martignon e il pianista Gian Luca Friso.

L’Allegro danzante per clarinetto e pianoforte, suddiviso in tre segmenti, è un tipico esempio della capacità di Nino Rota nel saper instillare un’inventiva unica e nel concatenare efficacemente una pletora di armonie magicamente dense. Il clarinetto enuncia motivi accattivanti, quasi orecchiabili, al punto che avrebbero potuto essere utilizzate per scrivere canzoni, ma che non scadono mai nella banalità grazie a un geniale accorgimento, quello di dare luogo a una continua e ininterrotta sequenza, accompagnati da una parte di pianoforte fluida e aggraziata. Non è un caso che questo brano rappresenti un must per gli studenti di clarinetto, che lo eseguono frequentemente per prendere confidenza con lo strumento e per scoprirne le sue molteplici potenzialità.

La Sonata in re per clarinetto e pianoforte è un gioiello di equilibrio e di efficacia timbrica; il primo tempo, un Allegretto scorrevole, vede i due strumenti dialogare ed esporre i temi attraverso una luminosa cantabilità. Questa atmosfera, che a volte diviene trasognata, viene bruscamente annullata con l’irruzione dell’Andante quasi adagio, che dona subito un connotato misterioso al dispiegarsi delle linee melodiche, le quali sono evidenziate dal basso sincopato del pianoforte e da un più disteso cantare del clarinetto che assume a tratti contorni di mestizia. Al contrario, l’Allegro scorrevole finale vede ancora i due strumenti riproporre, in toni decisamente più vivaci e ironici, la relazione di dialogo che si era stabilita nel primo tempo.

Ma è sicuramente l’ultimo brano, il rarissimo Lo spiritismo nella vecchia casa per clarinetto solo, a rappresentare il vertice di questa registrazione. Come spiega Luca Lucchetta nelle note di accompagnamento, il clarinetto per cui Nino Rota scrisse questo pezzo era uno strumento diverso da quelli in uso attualmente, in quanto disponeva di un fusto inferiore allungato e di una chiave in più, il che gli permetteva di ampliare verso il grave di un semitono la propria estensione. Così, per fini del tutto pratici, l’edizione moderna della composizione, desunta dalla copia del manoscritto conservato presso la biblioteca della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, è stata trasposta per permettere agli strumenti attualmente in uso di poter eseguire il brano, anche se inevitabilmente in questo modo si è persa la profondità di suono delle note gravi a cui Rota si era sicuramente ispirato per rendere più suggestiva questa composizione. Inoltre, la presente registrazione di questo brano è stata possibile grazie a un clarinetto messo a disposizione dalla casa costruttrice Buffet & Crampon di Parigi, che è dotato del meccanismo necessario per avvicinarsi il più possibile al timbro dello strumento originale.

Suddiviso in due parti, ossia Sei variazioni e Tre suggestioni, questo pezzo scava in fondo nel mistero compositivo di Nino Rota, in quanto fa capolino un sapore agrodolce che non sempre traspare nella sua opera, ma che si identifica perfettamente, epidermicamente con l’estetica cinematografica felliniana. Qui, virtuosismo, tecnica, e allo stesso tempo, espressività e ricerca timbrica dello strumento (forse il più amato da Nino Rota, nel quale timbricamente sembrava riconoscersi) la fanno da padrone, obbligando l’interprete a un dominio assoluto della struttura e dei mutevoli cambiamenti che permettono di visionare varie tonalità di grigio, tali da sondare in profondità l’animo dell’ascoltatore.

La lettura fatta dai tre interpreti avrebbe, a mio modo di ascoltare, suscitato ammirazione nello stesso Nino Rota, in quanto il loro articolarsi tra i meandri di un’armonia, che deve viaggiare sul filo del rasoio con una melodia in cui si possa cogliere sia la mestizia, sia l’ironia, sia l’amarezza camuffata dell’umano vivere, è pienamente convincente. La leggerezza, a volte la spensieratezza, con la quale riescono a riempire il dato ritmico, è davvero encomiabile, frutto di una piena comprensione dell’estetica del musicista milanese e delle sue partiture. Luci e ombre si susseguono in modo incalzante, dispensando manciate di felicità e di filosofia spicciola, quella che serve per affrontare le afflizioni della vita quotidiana, perché in fondo, lo scopo di Nino Rota è stato di far capire che la sua musica, che fosse per il cinema o meno, aveva il compito di accompagnare l’uomo nella vita di tutti i giorni, di rappresentare i suoi sforzi, il suo agire, i suoi pensieri. Con un tocco immancabile di ironia, ma anche, e questo è innegabile, di nobiltà esistenziale.

Questo è il mio Disco del mese di settembre.

La presa del suono, decisamente ottima, è stata effettuata in formato 88.2 kHz / 24 bit da Andrea Valfrè e Marco Lincetto, mentre quest’ultimo si è anche occupato del mixaggio e del master. Presumo che la dinamica provenga direttamente da una centrale termonucleare, tenuto conto che è un concentrato di energia e di velocità come raramente è dato ascoltare, senza contare che sono state eliminate anche le scorie radioattive, poiché si apprezzano una pulizia e una naturalezza che bandiscono qualsiasi pur minima presenza di colori artificiosi. Ne consegue un risultato di assoluto rilievo per ciò che riguarda il parametro del palcoscenico sonoro, che vede i tre strumenti ricostruiti/scolpiti al centro dei diffusori con un posizionamento ideale rispetto al fatto che si tratta di un disco di musica cameristica, ossia con gli artisti posizionati a non più di quattro/cinque metri di distanza rispetto all’ascoltatore, come se quest’ultimo si trovasse in prima o in seconda fila. Avendo a che fare con uno strumento timbricamente debordante come il clarinetto, il parametro dell’equilibrio tonale era a dir poco fondamentale: ebbene, anche qui siamo nei territori dell’eccellenza assoluta, visto che lo scontorno del registro acuto e di quello medio-grave è a dir poco ineccepibile, avvantaggiando di conseguenza la possibilità di apprezzare la pulizia minima di ogni sfumatura, anche quando sono chiamati in causa contemporaneamente due o tre strumenti. Il dettaglio, infine, è in collegamento diretto con cisterne di nero, che lo pompano dalla prima all’ultima nota, in modo da riproporre tridimensionalmente gli strumenti a un livello di matericità che si riscontra esclusivamente nelle registrazioni audiofile. E questa, senza alcun dubbio, lo è!

Andrea Bedetti

 

  • Nino Rota – Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte-Allegro danzante per clarinetto e pianoforte-Sonata in re per clarinetto e pianoforte-Lo spiritismo nella vecchia casa per clarinetto solo
  • Luca Lucchetta (clarinetto) – Francesco Martignon (violoncello) – Gian Luca Sfriso (pianoforte)
  • Gold CD Velut Luna CVLD 379

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 5/5

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