In un’epoca dominata dalla velocità e dalla saturazione sensoriale, Bauer e Kalima ci offrono un rifugio acustico, un cronoprogramma dilatato, un tredicesimo mese in cui abitare con l’orecchio e con il pensiero.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Nel panorama del jazz contemporaneo europeo, l’incontro tra il chitarrista finlandese Kalle Kalima e il trombonista tedesco Conny Bauer rappresenta un evento di rara coerenza estetica e tensione sperimentale. Il loro album «13 Kuukautta» (in finlandese, «13 mesi»), registrato nel 2023 a Berlino e pubblicato dall’etichetta audiofila TYXart Records, si propone come un progetto che sfida le convenzioni temporali e formali del linguaggio jazzistico, proponendo un’alternativa radicale tanto alla struttura compositiva quanto alla percezione dell’ascolto. Si potrebbe parlare di un incontro generazionale e transnazionale. Infatti la genesi del progetto affonda le radici in un’occasione apparentemente fortuita, quando nel 2022 i due sodali presero parte ad una jam session in occasione del compleanno del trombonista Nils Wogram. Tuttavia, da quell’incontro estemporaneo è scaturita una collaborazione intensa, fondata su un’evidente affinità musicale ed intellettuale. Bauer, figura storica del jazz della Germania dell’Est, attivo sin dagli anni Sessanta, e Kalima, esponente di spicco della scena improvvisativa nordeuropea, hanno saputo coniugare le rispettive esperienze in un dialogo paritario, privo di gerarchie, in cui la composizione si fonde con l’improvvisazione in un continuum fluido e collettivo.
Uno degli elementi più affascinanti dell’album è l’adozione di un sistema musicale ideato da Bauer, basato su movimenti intervallari che si attivano in momenti temporali specifici. Questo approccio, che richiama certi esperimenti della musica seriale ma ne rifiuta la rigidità dogmatica, consente una libertà strutturata, in cui l’improvvisazione non è mera estemporaneità, bensì espressione di un ordine interno, quasi rituale. La musica che ne scaturisce è «strettamente collettiva», come affermano gli stessi autori, e mira a «sfuggire alle categorie abituali»: non è jazz, non è musica contemporanea, non è ambient, ma un ibrido che si colloca in una zona liminale, sospesa, dove il tempo diventa materia sonora. Non a caso, il titolo stesso dell’album, «13 Kuukautta», allude ad un calendario immaginario, un tempo altro che si sottrae alla scansione convenzionale dei mesi. Ogni traccia porta il nome di un mese (in finlandese), culminando in un tredicesimo mese fittizio, «Jääkuu» («mese del ghiaccio»), che suggella l’intento utopico del concept: creare un continuum spazio-temporale autonomo, in cui l’ascoltatore è invitato a sospendere le coordinate abituali della percezione. In questo senso, l’album si sostanzia come un planning, un calendario sonoro che scandisce non il tempo cronologico, ma quello interiore, emotivo e percettivo. Dal punto di vista timbrico, l’interazione tra la chitarra elettrica di Kalima e il trombone di Bauer è di una raffinatezza sorprendente. Lungi dal rincorrere virtuosismi o effetti spettacolari, i due musicisti costruiscono paesaggi sonori rarefatti, spesso minimalisti, in cui ogni nota è carica di intenzionalità. Il silenzio gioca un ruolo fondamentale, così come le risonanze, le microvariazioni, le dissonanze sospese. L’ascolto richiede attenzione, disponibilità, apertura: è un’esperienza quasi meditativa, se non olistica, che invita a rallentare, a «disimparare» l’ascolto convenzionale per abbracciare una nuova sensibilità.
Attraverso un’analisi delle singole tracce, si evidenzia la coerenza estetica e la tensione sperimentale che caratterizzano il progetto, ponendolo all’intersezione tra improvvisazione radicale, composizione strutturata e poetica dell’ascolto. «13 Kuukautta» si apre con «Tammikuu», gennaio, che non è un inizio trionfale, ma un risveglio lento, quasi esitante. Le prime note sembrano emergere da un paesaggio innevato, rarefatto, dove il trombone di Bauer si muove come un respiro profondo, a tratti asmatico, mentre la chitarra di Kalima tesse trame sottili, come rami spogli che scrivono nel silenzio. È un’introduzione che non impone, ma invita: un invito a entrare in una dimensione altro, dove ogni mese è un microcosmo. Con «Helmikuu», febbraio, la durata si accorcia, ma l’intensità cresce. Qui il dialogo si fa più serrato, quasi nervoso, come se i due strumenti si rincorressero tra i ghiacci che iniziano a sciogliersi. La brevità del brano non è mancanza, ma condensazione: ogni suono è essenziale, ogni pausa è carica di tensione. «Maaliskuu», marzo, introduce una nuova dinamica: il ritmo si fa più articolato, le frasi si allungano, si avverte un senso di attesa, di germinazione. È come se la musica stesse cercando una via d’uscita dal torpore invernale, esplorando possibilità armoniche che si aprono e si richiudono come boccioli. Con «Huhtikuu», aprile, la luce cambia. Il timbro della chitarra si fa più liquido e fluttuante, quasi impressionista, mentre il trombone si muove con leggerezza, come sospinto da un vento primaverile. È un brano che respira, che lascia spazio all’eco, alla risonanza e alla memoria. «Toukokuu», maggio, è forse il primo momento in cui la musica si concede una vera espansione pur sfiorando una sorta di caos armonico a numerazione controllata. Quelle che potremmo definire linee linee melodiche, o di senso, si distendono, si intrecciano con una saldatura che rifugge qualsiasi sentimentalismo. Si avverte un desiderio di contenuta libertà, come una fioritura interiore che tenta di emergere.
«Kesäkuu», giugno, è un gioco di ombre e luci, con passaggi quasi ostinati. C’è un accenno di euforia ed una calma vigile, al contempo, come se i due musicisti stessero osservando l’estate da una finestra socchiusa. La struttura è più libera, quasi aleatoria, eppure ogni gesto sonoro è preciso, misurato. Con «Heinäkuu», luglio, si entra in una dimensione più rarefatta, il parenchima sonoro sembra attraversato da un ronzio da uno sciame di insetti, mentre il trombone sembra stridulare come le cicale. Il tempo sembra dilatarsi, le note si fanno più distanti, come se la calura estiva avesse rallentato ogni movimento. È un brano immersivo, che invita all’ascolto complice e alla sospensione. «Elokuu», agosto, introduce un senso di inquietudine. Le armonie si fanno più scure, i contrasti più marcati. È come se la fine dell’estate portasse con sé un presagio, una tensione sotterranea che si insinua tra le pieghe di rudimentale e dissonante linea melodica. «Syyskuu», settembre, è il brano più lungo e forse il più narrativo. Qui la musica racconta, evoca, costruisce un paesaggio sonoro complesso, stratificato. Si avverte una malinconia sottile, ma anche una maturità espressiva che innesca suggestioni molteplici. «Lokakuu», ottobre, è un ritorno all’essenzialità. Le frasi si accorciano, il dialogo si fa più distante, quasi sussurrato, un parlare in codice È come se i due musicisti stessero erigendo una palizzata per difendersi da un pericolo imminente. È un brano di transizione, di passaggio, fatto di foglie e di armonie che cadono senza far rumore. «Marraskuu», novembre, è il cuore oscuro dell’album. Le sonorità si fanno più dense, più gravi. Il trombone scava negli abissi emotivi, mentre la chitarra si muove come una lanterna nella nebbia. È un momento di introspezione, di confronto con il vuoto. «Joulukuu», dicembre, non è una conclusione, ma una sospensione. La musica si fa più rarefatta, quasi immobile. È un tempo di attesa, di raccoglimento, in cui ogni nota sembra interrogare il silenzio, in cui la temporalità convenzionale viene sospesa a favore di una dimensione sonora autonoma. Infine, «Jääkuu», il tredicesimo mese, è un’invenzione, un’utopia sonora. Qui Bauer e Kalima si liberano da ogni vincolo, esplorano territori nuovi, creano un tempo che non esiste, ma che si può abitare con l’ascolto. È un epilogo, ma anche un inizio, un ritorno al possibile.
«13 Kuukautta» è un lavoro che si colloca con piena legittimità nel solco delle più audaci sperimentazioni del jazz europeo, ma che al contempo oltrepassa i confini del free form. È un album che non si limita a proporre nuova musica, ma che promulga un’inedita modalità di esistenza del suono, del tempo, della relazione tra i musicisti e tra questi e l’ascoltatore. In un’epoca dominata dalla velocità e dalla saturazione sensoriale, Bauer e Kalima ci offrono un rifugio acustico, un cronoprogramma dilatato, un tredicesimo mese in cui abitare con l’orecchio e con il pensiero, un’esperienza d’ascolto che è al contempo meditativa, concettuale e profondamente emotiva.

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