Il quartetto di Branford espande il linguaggio jazzistico con una rimodulazione che non si limita alla riproposizione scolastica, ma la ricontestualizza all’interno delle dinamiche di un gruppo contemporaneo proteso verso l’interazione circolare, tanto da poter parlare di vera e propria reinvenzione della musica di Jarrett.
Branford Marsalis, giovane leone mai domo, ed il suo quartetto trovano sistematicamente il grimaldello giusto per aprire le innumerevoli porte del jazz. La scelta di reinterpretare «Belonging» di Keith Jarrett per il suo debutto su Blue Note Records costituisce un’altra mossa azzeccata. Parliamo di un album storico che segnò una svolta nella carriera del pianista americano con il suo quartetto europeo. Marsalis affronta le tematiche jarrettiane con il tipico approccio rispettoso ma personale, seguendo la linea già tracciata nel passato con la ripresa di Charles Mingus, del Modern Jazz Quartet e di John Coltrane. Il suo quadrilatero strumentale, rodato da anni di collaborazione e dotato di un’intesa affinata e quasi mnemonica, riesce ad aggiungere nuova linfa al progetto senza cadere in eccessivi timori reverenziali o eccessivi stravolgimenti.
Confrontando le due versioni, si nota che Marsalis ha allungato la durata complessiva dell’album di circa diciassette minuti, dando più spazio all’indagine dei singoli musicisti. «Spiral Dance», ad esempio, mantiene il ritmo e il mood dell’originale, ma apre le porte alle agli assoli di Calderazzo, Marsalis e Revis che eseguono differenti traiettorie, contrassegnate da assoli distintivi che ampliano il tema con variazioni armoniche e melodiche più marcate rispetto alle partiture del 1974. In «Blossom», Marsalis si allunga su tutta la traccia, quasi a volerla monopolizzare, evidenziando un fraseggio incisivo ed un controllo strumentale non comuni, concedendo, però, sul finale un breve inserto solistico a Calderazzo. Anche «Long As You Know You’re Living Yours» prende una direzione leggermente diversa, con un Faulkner più lento e meno pressante sul kit percussivo, rispetto all’originale. L’assolo del sassofonista si distingue per un a singolare cromatura spagnoleggiante, mentre Calderazzo chiude il pezzo con un assolo ispirato, capace di espanderne la gamma emotiva.
La title-track, «Belonging», che in origine era un breve duetto di poco più di due minuti, viene trasformato in un gioco a quattro che ne invade l’atmosfera senza smarrire i presupposti basilari. Pur rispettando l’intimità del componimento di Jarrett, l’ex-enfant prodige della dinastia Marsalis e soci ne ampliano la struttura, offrendo inedite sfumature attraverso un setoso interplay tra sax e pianoforte. In «The Windup», Calderazzo, Revis e Faulkner assumono il comando delle operazioni, dando vita ad una performance intensa e passionale. Il drumming di Faulkner è decisamente più incisivo rispetto a quello di Jon Christensen. L’assolo di Branford si muove all’insegna della libertà, ma nel finale riporta il costrutto nell’alveo naturale. Infine, «Solstice» si distingue soprattutto per il contrabbasso di Eric Revis che prende il centro della scena con un walking evocativo. Nell’album di Jarrett, il pianista accompagnava il basso di Palle Danielsson, mentre in questa edizione Revis esplora il tema in solitudine, prima che il sax di Marsalis intervenga con un fraseggio finale dall’aura vagamente mediorientale. L’album assume una particolare valenza, non solo come omaggio ad un capolavoro già acquisito agli atti, ma nello specifico come tentativo di «osservare» le potenzialità del linguaggio jazzistico novecentesco attraverso una nuova prospettiva, agendo tra rispetto filologico ed attualizzazione.
«Belonging» rappresentò un punto di svolta nella carriera del pianista e un tassello fondamentale nella storia del jazz europeo. Ciononostante, il sassofonista di New Orleans stesso ammette di non aver avuto alcuna familiarità con questo disco al momento della sua uscita, essendo all’epoca concentrato su altri generi come l’R&B. Il suo avvicinamento all’opera di Jarrett avvenne grazie a Kenny Kirkland, il quale gli suggerì un ascolto delle registrazioni dell’european quartet del pianista. Diversamente a dal vecchio ensemble, che si formò proprio in occasione della registrazione di «Belonging», il line-up di Marsalis vanta un’unità consolidata negli anni, con Revis presente dal 1996, Calderazzo dal 1999 e Faulkner dal 2009. Questa profondità di interazione musicale conferisce alla rilettura del poema jarrettiano con una coesione ed una spontaneità che vanno oltre il tributo formale. Nel concept di Branford l’arrangiamento delle singole composizioni mantiene i pilastri melodici dell’opera di partenza, ma ne espande le strutture attraverso l’aggiunta di nuove sezioni e l’estensione delle improvvisazioni, tanto che, nel complesso, l’album assume più le peculiarità di un quartetto americano, dall’imprinting afrologico e dalla sonorità più energica e ritmicamente più marcata, che non del derivativo quartetto nordeuropeo. La pubblicazione di «Belonging» su Blue Note rappresenta un passaggio significativo per Marsalis, il quale consolida la sua posizione all’interno di una delle etichette storiche più prestigiose. Se la rilettura di «A Love Supreme» di Trane aveva già evidenziato l’attitudine del sassofonista a riprendere i classici senza snaturarli, la rilettura di Jarrett cristallizza questo approccio, rivelandosi non solo come evento tributaristico, ma anche quale manifesto della propria identità musicale. Il quartetto del ex-young-lion espande il linguaggio jazzistico con una rimodulazione che non si limita alla riproposizione scolastica, ma la ricontestualizza all’interno delle dinamiche di un gruppo contemporaneo proteso verso l’interazione circolare, tanto da poter parlare di vera e propria reinvenzione della musica di Jarrett

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